14 febbraio 1989
Niscemi (CL)

Francesco Pepi

Ci sono voluti 25 anni per consegnare la verità alla famiglia di Francesco Pepi: ucciso perché si era rifiutato di cedere ai ricatti della mafia e aveva osato denunciare le richieste estorsive. Non doveva diventare un esempio per gli altri commercianti.

Francesco Pepi nasce a Niscemi, comune siciliano della provincia di Caltanissetta, in una famiglia umile. È un ragazzo dall’animo buono, intraprendente e volenteroso di aiutare la sua famiglia. Sin da giovanissimo, inizia a lavorare le terre a mezzadria. Ha una grande voglia di migliorarsi, mettersi alla prova, di progredire sempre, e così, dopo alcuni anni di impegno e duro lavoro, ingaggia alcuni uomini che lavoravano con lui. Il lavoro consiste nella commercializzazione di carciofi, arance, peperoni e ogni altro prodotto tipico delle sue zone. Nel giro di non molto tempo ne ingaggia altri e quelle terre iniziano a essere sue. Così Francesco ha un'altra intuizione: comincia a far lavorare i prodotti della sua terra e altri prodotti che gli forniscono altri lavoratori della zona e nel frattempo dà vita a una piccola società a responsabilità limitata chiamata “PAIC SUD di Francesco Pepi”.
È una fabbrica di prodotti sott’olio conservati (carciofi, pomodori, melanzane, peperoni arrostiti) che vengono commercializzati sia in Italia sia all’estero con il marchio della sua azienda.

Francesco è felice e orgoglioso, con anni di duro lavoro, passione e lungimiranza, è riuscito a mettere in piedi una solida realtà che dà lavoro a più di cento persone del luogo. Ma Francesco non è solo un imprenditore, è soprattutto, un uomo umile, attento ai bisogni degli altri, sensibile, generoso, uno che crede che l’essere umano si realizza attraverso il lavoro. Per questo, mentre cerca di estendere la sua attività, mette sempre al primo posto le persone, i suoi lavoratori, garantendo rispetto e dignità al lavoro di ciascuno. Grazie anche alle sue umili origini, conosce e si immedesima nello stato di bisogno degli altri e così pensa sempre al prossimo prima che a sé stesso, cercando di dare lavoro a chiunque ne ha bisogno. E lui per primo, lavora incessantemente, riuscendo a essere di esempio per tutti i suoi lavoratori. Gli affari vanno bene, la “PAIC SUD” inizia ad avere aziende partner sparse per tutta Italia e collabora con grandi aziende di rilievo nazionale.

Nel frattempo Francesco non trascura la sua vita familiare, si è sposato e ha due bellissimi bambini: Liborio e Francesca. Nonostante i moltissimi impegni lavorativi Francesco è sempre presente con la sua famiglia, è un papà attento, premuroso e amorevole. Ci tiene molto all’educazione dei suoi figli e cerca di trasmetterli i suoi valori e la sua umanità. Francesca, da tutti chiamata Franca, con gli anni e dopo attenti studi, diventerà dirigente nell’azienda di famiglia, mentre Liborio intraprenderà gli studi e la carriera di medico.

Le richieste estorsive

Tutto sembra andare alla perfezione ma la mafia, presente e ben radicata in quel territorio, non può permettere che quell’azienda che va a gonfie vele non versi nelle sue casse una parte di quei proventi. Iniziano così le prime richieste estorsive da parte della mafia, richieste non solo di denaro. ma anche favori vari. Francesco non ha dubbi: il suo è un “No” fermo e deciso!
Denuncia immediatamente l’accaduto alle Forze dell’ordine collaborando costantemente con loro. È uno dei primi commercianti siciliani che si ribella al pagamento del pizzo ed esorta gli altri colleghi imprenditori a sporgere denuncia, a non cedere al ricatto della mafia.
«Pepi allora mi disse: sono una persona del mio tempo, sono nato povero e mi sono fatto da solo. Non mi piegherò mai, perché quello che ho realizzato l’ho fatto per i miei figli» ricorda Domenico Resciniti, allora comandante della Stazione di Niscemi.
Nei primi giorni di febbraio del 1989 Francesco è particolarmente inquieto: la mafia gli ha chiesto di trasportare nei camion, insieme alle conserve, armi e droga per loro conto. Lui, naturalmente, si rifiuta nuovamente e riferisce tutto ai Carabinieri, ma quelle continue richieste lo sfiniscono, gli tolgono serenità e concentrazione.

La ribellione al pizzo di mio padre non è stato un atto di coraggio ma di orgoglio, per potere continuare a guardare negli occhi i suoi figli.
Franca - figlia di Francesco

Il 14 febbraio del 1989

La mafia non può accettare quell’ennesimo “no” detto senza esitazione. Non può accettare che un uomo si ribelli così apertamente al loro potere e dominio. Deve dargli una punizione esemplare, di modo che possa essere d’esempio per tutti gli altri commercianti che, grazie alla forza e all’esempio di Francesco, iniziano a bramare di ribellarsi e denunciare. Francesco deve essere ucciso, senza aspettare troppo.
Il 14 febbraio, nel giorno degli innamorati, Francesco lavora come sempre ma non mancherà la sera di portare un fiore alla sua amata moglie e di riempirla di attenzioni, come d’altronde è abituato a fare quotidianamente. Non sa che invece, per quel giorno, la mafia ha in mente un altro piano.
É a bordo della sua auto, davanti alla Parrocchia S. Giuseppe, sta per svoltare dalla via Mazzini alla via V. Crescione, quando due killer a bordo di un motorino lo affiancano e sparano una raffica di colpi diretti verso di lui. Ben sette di quei proiettili lo colpiscono in pieno. Per Francesco non ci sarà nulla da fare, morirà sul colpo lasciando nel dolore più profondo la sua amata famiglia.
Dopo la morte di Francesco, la sua famiglia, e soprattutto la figlia Franca, per rendere onore alla memoria del papà, prova a tenere in piedi l’azienda. Non vuole chiudere, non vuole esser costretta a licenziare tutte quelle persone a cui Francesco teneva così tanto e fermare la produzione. Francesco aveva accolto prima nella sua azienda e poi nella sua famiglia Domenico. Sarà lo sposo di Franca, sua figlia, l'uomo che la sorreggerà negli anni bui dopo l'uccisione del padre. Franca lotterà con ogni mezzo, ma le banche non le fanno più credito impedendole così di tenere viva quella splendida realtà.
L’amarezza e la delusione per quella chiusura forzata aggiungeranno dolore al dolore, allargando una ferita che mai si rimarginerà.

Vicenda giudiziaria

Le indagini sull’uccisione di Francesco Pepi si sono indirizzate da subito sulla pista delle estorsioni, ma ci sono voluti bene 25 anni per individuarne con precisione i mandanti e gli esecutori materiali.
Le indagini dimostreranno che l'omicidio fu deciso con la diretta approvazione dei vertici di Cosa nostra, in primis da Nino Madonia e da Antonio Rinzivillo, esponente di spicco della cosca mafiosa gelese, con la volontà di dare un segnale chiaro che non sarebbe stato tollerato nessun altro gesto di dissenso contro il racket.
Sia gli esecutori materiali che i mandanti dell’omicidio, dodici persone, tutte appartenenti a Cosa nostra, sono state condannate a pesanti pene.
I provvedimenti sono stati emessi al termine di una lunga indagine, corroborata anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che ha consentito di fare luce su alcuni delitti avvenuti durante la guerra di mafia che si svolse in provincia di Caltanissetta negli anni Novanta tra le famiglie nissene e quelle della Stidda, egemone nell'area di Gela. L’omicidio di Francesco fu l’unica cosa condivisa dalle cosche in guerra fra loro: uniti per voler dare un segnale chiaro a quanti volessero denunciare.

Memoria viva

Nel 2003 il Viminale riconosce a Francesco lo status di vittima di mafia.
La famiglia di Francesco, in particolare sua figlia Franca, si è sempre battuta per far emergere la verità ed è costantemente impegnata per tenere viva la sua memoria, soprattutto con i ragazzi delle scuole.