31 ottobre 1991
Quindici (AV)

Nunziante Scibelli

Un fiume di sangue che ha bagnato le strade del Vallo di Lauro, un fazzoletto di terra in provincia di Avellino trasformato in un triangolo della morte. Anche per chi, con quella guerra, non c'entrava niente. Come Nunziante Scibelli, 26 anni e una vita onesta. La sua è la storia tragica della prima vittima innocente della faida.

Quella che ha contrapposto le famiglie dei Cava e dei Graziano è una delle più sanguinose faide nella storia criminale del Paese. È stato il terremoto del 23 novembre 1980 a rompere un equilibrio che, fino a quel momento, aveva visto le due famiglie allearsi e spartirsi gli affari sul territorio. Quell’evento tragico, che sconvolse la Campania e l’avellinese in particolare, segnò la rottura e l’inizio di una guerra senza esclusione di colpi. Agguati, delitti efferati, vendette trasversali. Un fiume di sangue che ha bagnato le strade del Vallo di Lauro, un fazzoletto di terra in provincia di Avellino trasformato in un triangolo della morte. Anche per chi, con quella guerra, non c’entrava niente. Come Nunziante Scibelli, 26 anni e una vita onesta. La sua è la storia tragica della prima vittima innocente della faida.

Nunziante era nato a Taurano, poco più di 1500 abitanti, nel 1965. Era un ragazzo per bene con una vita normale e tranquilla. Lavorava come bracciante, ma, proprio in quegli ultimi mesi del 1991, era in attesa di iniziare un nuovo lavoro come guardia giurata presso un’azienda del territorio. Una maggiore stabilità economica che gli avrebbe permesso di prendersi cura della sua giovane famiglia. Il centro della sua vita era Francesca, una ragazza di un paio d’anni più giovane di lui, di cui si era profondamente innamorato e che aveva sposato, nell’estate del ’91, quando lei già aspettava una bambina. Nessuna macchia sulla vita di questo onesto e giovane lavoratore. Né su quella di Francesca, il cui cognome - Cava - richiamava alla mente quello della potente famiglia di camorra del territorio, ma con la quale questa ragazza non aveva alcun tipo di legame e nulla da che spartire.

Ma in territori dominati dalla violenza della camorra può accadere - e purtroppo accade - che, anche quando non hai nulla da spartire con quegli ambienti, ne puoi rimanere comunque e tragicamente schiacciato.

Il 30 ottobre del 1991

Accadde esattamente questo la sera di domenica 30 ottobre 1991. Nunziante era a bordo della sua Giulietta blu scuro. Accanto a lui c’era Francesca, incinta al settimo mese. Stavano raggiungendo il padre di lui, ricoverato in ospedale. Intorno alle 20.00, la Giulietta stava percorrendo una strada poco illuminata di Ima, una frazione di Lauro. Giunta a pochi metri dalla curva di Quindici, la macchina fu investita improvvisamente da una violentissima scarica di armi da fuoco. Più di cento pallottole, esplose anche con un fucile kalashnikov. Un inferno, del quale forse Nunziante non ebbe neanche il tempo di accorgersi. Si accasciò sullo sterzo. Francesca, nonostante le ferite, riuscì a uscire viva da quella pioggia di fuoco. Con lei, anche la bimba che portava in grembo. I due furono portati in due ospedali diversi. Lei al Loreto Mare di Napoli. Lui invece al Cardarelli, dove spirò intorno alle 9 del mattino successivo, lunedì 31 ottobre.

Vicenda giudiziaria

Cosa era successo? Perché l’auto di Nunziante era stata presa di mira con così tanta violenza? La domanda trovò risposta presto, quando ci si rese conto che in realtà gli obiettivi dell’agguato non erano Nunziante e Francesca, ma due pregiudicati che viaggiavano a poca distanza, su un auto del tutto simile a quella della coppia, un’Alfetta, scura, come quella di Nunziante, e targata Milano, come quella di Nunziante. Ma blindata, a differenza di quella di Nunziante. I veri obiettivi dell’agguato erano Antonio Cava e suo cugino Aniello Grasso, entrambi legati al clan Cava. La loro auto fu appena scalfita dalle pallottole e Antonio Cava ne uscì lievemente ferito.

Nunziante, che di lì a poche settimane sarebbe diventato padre di una splendida bimba cui fu dato il nome del papà, divenne invece la prima vittima innocente della faida tra i Cava e i Graziano. Una vita spezzata dalla violenza della camorra e troppo a lungo dimenticata. Solo 17 anni dopo, nel 2008, una targa fu apposta sul luogo del delitto, a ricordare questa giovane vittima innocente. Un’iniziativa che però segnò un momento di passaggio importante nel recupero della memoria di questa storia e in un percorso di consapevolezza che riguardò non solo l’opinione pubblica del territorio, ma anche qualcuno che sapeva e sino a quel momento non aveva parlato.

Accadde così che nel dicembre del 2011 furono spiccati due mandati di arresto per Felice Graziano, classe 1964, e Antonio Graziano, classe 1963, entrambi evidentemente legati alla famiglia dei Graziano ed entrambi ritenuti responsabili dell’omicidio di Nunziante e del ferimento di Francesca. Un risultato a cui si arrivò anche grazie alle dichiarazioni rese dallo stesso Felice Graziano, divenuto intanto collaboratore di giustizia, e di Antonio Scibelli, vicino invece al clan Cava. Nel 2012, Felice Graziano è stato condannato a 16 anni di carcere.

Memoria viva

A Nunziante è stata intitolata, nel 2018, un’aula del Tribunale di Avellino. Porta il suo nome anche la villa confiscata di Quindici che ospita il Maglificio 100Quindici Passi, gestito dalla cooperativa Oasi Project.

Ricordare Nunziante Scibelli alla vigilia del ventiseiesimo anniversario della sua morte, mediante l’intitolazione di una Sala del Tribunale di Avellino, è donargli la giusta dignità e consegnare, alla comunità avellinese, la memoria di un esempio di dedizione all’etica e alla legalità. Nunziante Scibelli, vittima innocente della camorra in Irpinia, conserva la memoria delle vittime innocenti della criminalità organizzata. L’intitolazione di una Sala del Tribunale di Avellino – prosegue il deliberato – rende, quindi, onore al sacrificio di Nunziante Scibelli, giovane sposo di Francesca Cava e padre di Nunzia, nata appena tre mesi dopo il tragico evento, e al tempo stesso offre dignità ai congiunti, che a distanza di tanti anni ancora soffrono per la grave e ingiusta perdita. Ricordare in tal modo Nunziante Scibelli costituisce, quindi, un modo per ribadire quei valori morali ed etici radicati nella nostra comunità, di cui ne sono il fondamento.
motivazioni per l'intitolazione aula del Tribunale di Avellino - delibera