Due grandi occhi scuri, vispi e intelligenti. Dentro quegli occhi c’è tutta la gioia di vivere, la curiosità, l’allegria e la spensieratezza di un bambino che ha appena compiuto 11 anni. Tutta la vita davanti a sé. Tutto il tempo per realizzare i progetti, i sogni, le speranze e i desideri della sua famiglia. Un ragazzino sensibile. “Oggi sarebbe un uomo perbene”, dice papà Gaetano. Sì, lo sarebbe stato se avesse avuto il tempo. Lo sarebbe stato se qualcuno quel tempo non glielo avesse sottratto. Oggi invece Fabio non c’è più. La sua vita si è fermata una calda sera di fine luglio del 1991, spezzata per sempre dalla violenza cieca e bestiale della camorra.
Papà Gaetano era un ex operaio della Italsider, all’epoca dei fatti impiegato in una fabbrica della provincia napoletana. Aveva messo su famiglia insieme a sua moglie Rosaria. Con lei e con la sua prima figlia, Stefania, viveva in via Monte di Dio, nel cuore del centro storico di Napoli, a ridosso dei Quartieri Spagnoli. Una vita dignitosa e onesta. Fabio era arrivato 3 anni dopo Stefania, agli inizi di giugno del 1980, a riempire nuovamente di gioia la famiglia De Pandi, con il suo sguardo vispo e la sua allegria, coccolato dalla famiglia, protetto da una madre che ben conosceva i rischi che si possono correre quando si nasce e si cresce in un quartiere difficile come quello. Fabio aveva frequentato la scuola elementare all’Istituto Baracca - Vittorio Emanuele II, in via Tiratoio, a poche centinaia di metri da casa. Ma stava crescendo questo bambino esile e vispo e nel settembre del 1991 avrebbe dovuto cominciare la scuola media. Percorsi di vita semplici, che hanno tutti i tratti della normalità. Dopo quella sera del 21 luglio 1991 questa famiglia però avrebbe dimenticato per sempre il significato della parola normalità.
Il 21 luglio del 1991
La famiglia De Pandi da tempo si frequentava con quella di Lucio Alfano. Gaetano e Lucio erano vecchi amici. Avevano i figli della stessa età e questa circostanza li induceva spesso a trascorrere la serata insieme, tra una cena, due chiacchiere e qualche gioco con i bambini. Accadde così anche quella domenica. Nel pomeriggio Gaetano caricò la famiglia sulla sua Lancia Delta. Una ventina di minuti di macchina per raggiungere Soccavo, popoloso quartiere sul versante sud della collina dei Camaldoli, dove avrebbero trascorso la serata in compagnia degli amici di sempre. Una serata normale e tranquilla, come tante ce n’erano state e tante altre ce ne sarebbero ancora state. E invece, quando, intorno alla mezzanotte, la famiglia De Pandi lasciò la casa di Lucio per rientrare ai Quartieri Spagnoli, accadde l’imponderabile. Nel viale alberato all’incrocio tra via Catone e via Padula i De Pandi videro piombare un’Alfa 164 con tre persone a bordo. L’auto si avvicinò a un banchetto sul quale facevano bella mostra di sé diverse stecche di sigarette di contrabbando. Lì vicino, tra le altre persone presenti, si trovava Domenico Vitale, un ragazzo di 30 anni con precedenti per droga, armi e sulle spalle un tentato omicidio e una pericolosa vicinanza al clan Perrella. Era lui che i tre a bordo dell’auto avrebbero dovuto punire. Una spedizione per far capire che con certe cose non si scherza e che gli sgarri si pagano. Forse non ci sarebbe neanche scappato il morto, perché bastavano un paio di proiettili nelle gambe per regolare i conti e rimettere le cose al proprio posto. Ma l’uomo seduto sul sedile anteriore cominciò a sparare all’impazzata con la sua P38, senza centrare l’obiettivo. Un ultimo colpo, prima di correre via, segnò per sempre il destino della famiglia De Pandi, andandosi a conficcare nel braccio di Fabio, trapassandolo e fermando la corsa nel torace. Il bambino non si accorse di niente. Ebbe solo il tempo di lamentarsi per il dolore al braccio. Poi la vista del sangue fece comprendere a Gaetano e Rosaria che bisognava correre immediatamente in ospedale, perché quel proiettile aveva colpito chi non doveva colpire. Fabio in ospedale non ci arrivò vivo. Morì così, a 11 anni appena compiuti, tra le braccia dei suoi cari. Ai suoi funerali, celebrati il 23 luglio nella chiesa di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone, partecipo una folla commossa. Napoli piangeva la sua ennesima vittima innocente. Per di più, un bambino.
Vicenda giudiziaria
Le indagini hanno appurato piuttosto presto cosa accadde quella notte. Fabio era morto perché si era trovato nel bel mezzo di un regolamento di conti tra due bande rivali che si contendevano il controllo dei traffici illeciti nel quartiere di Soccavo. I killer erano stati mandati dal clan Perrella per punire Domenico Vitale di uno sgarro. A sparare, dal sedile passeggeri dell’Alfa 164, era stato il ventisettenne Amedeo Rey, pregiudicato vicino al clan di Salvatore Puccinelli, boss del rione Traiano. L’uomo fu arrestato a pochi giorni dal fatto. Mandanti e componenti del commando di fuoco sono stati tutti condannati. Nel 2003, è diventata definitiva la condanna all'ergastolo per Amedeo Rey, che l’11 dicembre 2015 si è tolto la vita impiccandosi nel carcere di Parma.
Memoria viva
La famiglia di Fabio ha affrontato la vicenda processuale con grande compostezza e dignità, senza mai cedere a sentimenti di odio e vendetta, ma chiedendo con forza e determinazione verità e giustizia per quella vita spezzata troppo presto. La memoria di questo ragazzino dagli occhi profondi e allegri vive nell’impegno quotidiano e nella testimonianza dei suoi cari, impegnati a raccontarne la storia e a farne strumento di educazione, soprattutto per le giovani generazioni.
Il mio impegno è principalmente teso alla memoria di Fabio. In un attimo sono stati distrutti tutti i sogni e i progetti che avevo fatto su di lui: più passa il tempo, più mi manca la sua presenza fisica e tutte le cose semplici ma belle della vita che avremmo potuto fare assieme. Fabio era un bimbo molto sensibile, sono convinto che oggi sarebbe stato un uomo perbene. Racconto il dramma che continuo a vivere quotidianamente per evidenziare quanto possa essere assurdo e inaccettabile perdere una persona cara per mano criminale. Spero che i giovani di oggi non seguano cattivi esempi, è importante ricordare tutte le vittime innocenti perché il loro sacrificio non sia vano. Dopo tanti anni posso affermare che il dolore non si è affievolito, tutt'altro. Ma cerco di trasformarlo in impegno, ogni giorno. La tragedia che mi ha portato via Fabio non deve essere dimenticata e deve servire da monito per i ragazzi in modo che non si lascino affascinare dal potere dei clan.
A Fabio è intitolato il Presidio di Libera di Chiaia - San Ferdinando, a Napoli, nato nel 2014. Ma sono tante le iniziative che, negli anni, ne hanno tenuta viva la memoria. Come l’intitolazione a lui del premio della Corrinapoli riservato alle scuole nel 2011 o la dedica di un’aula-laboratorio dell’Istituto comprensivo D’Aosta-Scura. La storia di Fabio è raccontata nello spettacolo teatrale "Dieci storie proprio così" di Emanuela Giordano, nel dossier "La strage degli innocenti", dedicato dalla Fondazione Pol.i.s. della Regione Campania a Fabio e a tutti i bambini uccisi dalla criminalità in Campania, e nel libro "La sedia vuota" del giornalista Raffaele Sardo. Dal mese di giugno del 2018 una targa ricorda Fabio anche nell'aula "Atelier creativo" dell'istituto che frequentava ai Quartieri Spagnoli. Sopra c’è scritto “Piccolo principe senza più sogni”.
In occasione del 30esimo anniversario dell’omicidio di Fabio, il giornalista Raffaele Sardo ha pubblicato il libro “Fabio De Pandi. Il piccolo principe” con la prefazione di don Tonino Palmese.