28 novembre 1946
Calabricata (CZ)

Giuditta Levato

Giuditta era incinta, aveva già due figli, ma il giorno in cui fu uccisa era andata nei campi a difendere il suo lavoro e quello dei contadini che facevano parte della prima Cooperativa agricola di Calabricata. Non poteva permettersi di restare in silenzio davanti alla forza e al sopruso dei vecchi proprietari terrieri, che li accusavano di essere degli usurpatori.

Il Novecento era iniziato sotto i migliori auspici, il progresso tecnologico sembrava non dovesse mai conoscere la parola fine e prospettava un futuro fatto di benessere per tutti. Ma la crescita economica non era sinonimo di benessere per tutti, gli squilibri sociali andavano acuendosi e la maggior parte della popolazione mondiale non poteva godere delle stesse opportunità.
Così era anche per la Calabria, una delle regioni più povere del neonato Regno d’Italia, in cui la popolazione viveva ancora in uno stato di arretratezza e miseria difficile da descrivere. Mancavano i più essenziali servizi, non c’erano scuole, impianti idrici nei piccoli paesini lontani dai grandi centri che si stavano industrializzando. E soprattutto la maggior parte della popolazione, che viveva del lavoro della terra e dell’allevamento, viveva ancora sotto una forma di vassallaggio. C’erano poche grandi famiglie che possedevano la maggior parte dei terreni agricoli.

È in questa situazione che nel 1915 nasce Giuditta Levato a Calabricata, un piccolo paesino del catanzarese, oggi Sellia marina. Giuditta è figlia di Salvatore e Rosa, entrambi contadini, e cresce aiutando i genitori nel lavoro faticoso e sfiancante nei campi e occupandosi dei suoi fratellini più piccoli. A 21 anni si sposa con un ragazzo del paese, Pietro Scumaci, che lavora i campi come lei. I due diventano presto genitori di due figli, Carmine e Salvatore. Sono poveri, ma innamorati e la fatica non li spaventa, non conoscono altro della vita se non l’importanza del lavoro per poter mangiare e vivere. Ma è scoppiata di nuovo la Guerra e nessuno può sentirsi escluso, Pietro nel 1941 è chiamato a servire il “suo” Paese e parte per il fronte. Giuditta resta così sola a crescere i loro figli e a occuparsi del lavoro nei campi. Negli anni in cui Pietro è in guerra, il padre Salvatore le è sempre al fianco e la aiuta e la sostiene, sono anni ancora più difficili, fatti di stenti e di paure. Paura di non farcela, di rimanere sola, di non veder più tornare il marito. 

La riforma agraria

Ma nel 1944, la Guerra non era ancora terminata, soffiavano forti venti di cambiamento. Durante il secondo Governo Badoglio, fu nominato Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo, un calabrese, da sempre vicino alle idee di Gramsci e profondo conoscitore dei mali di cui anche la sua terra era afflitta, come il latifondismo. Riuscì a ottenere l’approvazione di alcune riforme del sistema agrario per ridistribuire le terre incolte ai contadini, il famoso Decreto Gullo. Anche in Calabria, come in altre regioni del Mezzogiorno d’Italia, i grandi proprietari terrieri si opposero con forza all’attuazione del Decreto, spesso senza farsi scrupoli di utilizzare la violenza. Per la prima volta i contadini iniziarono a organizzarsi, avevano capito che solo insieme potevano affrontare l’arroganza dei ricchi proprietari terrieri e iniziarono a occupare le terre incolte.

Giuditta rimase affascinata dalle idee che i comunisti andavano diffondendo e dopo aver ascoltato un giovane militante, aver compreso ciò che lui diceva e capito profondamente che la lotta alle ingiustizie era anche la sua, si iscrisse al Partito Comunista Italiano. Fu tra le promotrici della nascita della prima sezione del PCI a Calabricata e poi della prima cooperativa di contadini, “Unione e Libertà”.

Il 28 novembre del 1946

Il 17 settembre del 1946 la cooperativa di Calabricata si vide assegnati i primi terreni incolti, cosa che trovò l’opposizione feroce del proprietario terriero del luogo, Pietro Mazza, tanto da aver deciso di portare a pascolare i suoi buoi sui terreni appena arati per distruggere la semina fatta dai contadini. Ma Giuditta, incinta al settimo mese, non poteva arrendersi e restare a guardare il sogno di tanti di loro che andava in frantumi davanti ai loro occhi. Il 28 novembre di quell’anno guidò una protesta di donne per protestare contro il latifondista e difendere con i propri corpi i terreni che per legge appartenevano ormai a loro. 
Durante i tafferugli con il Mazza e i suoi guardaspalle, partì un colpo dal fucile che imbracciava Vincenzo Napoli, uno degli uomini più fedeli del latifondista. Giuditta fu colpita all’addome e fu soccorsa dai contadini che erano al suo fianco e trasportata a casa. La ferita era profonda e i suoi familiari la portarono immediatamente all’Ospedale di Catanzaro, dove morì.
Il prete le negò l’estrema unzione perché era comunista.
Ma prima di morire, Giuditta consegnò a Pasquale Poerio, dirigente comunista e sindacalista, che era corso al suo fianco nel letto d’ospedale, le sue ultime parole e il suo testamento morale.

Compagno, dillo, dillo a tutti i capi, e agli altri compagni che io sono morta per loro, che io sono morta per tutti. Ho tutto dato io alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che sono partita per un lungo viaggio ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me per vendicarmi. A mio marito dirai che l’ho amato, e perciò muoio perché volevo un libero cittadino e non un reduce umiliato e offeso da quegli stessi agrari per cui hai tanto combattuto e sofferto. Ma tu, o compagno, vai al mio paesello e ai miei contadini, ai compagni, dì che tornerò al villaggio nel giorno in cui suoneranno le campane a stormo in tutta la vallata.
Giuditta Levato

Vicenda giudiziaria

Il suo omicidio non fu circondato da silenzio, troppi erano stati i testimoni di quel delitto e il Partito non rimase in silenzio. Il quotidiano del Partito, L’Unità, seguì il processo contro gli imputati raccontando le udienze dalle pagine del giornale. Fu un processo rapido, si aprì il 1 giugno del 1948 davanti a giudizi della Corte d’Assise di Catanzaro e si concluse poco dopo con l’assoluzione di Vincenzo Napoli e Pietro Mazza per insufficienza di prove, nonostante avessero testimoniarono contro di loro nove contadini che quel giorno erano al fianco di Giuditta. Non avevano avuto paura a raccontare ciò che avevano visto, ma a nulla era valso il loro coraggio, nessuno pagò per il suo omicidio e quello del bimbo che aveva in grembo.

Memoria viva

La storia di Giuditta è una di quelle storie che ancora oggi hanno tanto da raccontare, che parlano della forza e della determinazione di una donna, che non ha avuto paura di sfidare uomini più forti e più potenti per gli ideali in cui credeva, per la speranza di costruire un mondo migliore per la sua terra e per i suoi figli.

Nel 2004 il Consiglio regionale della Calabria ha intitolato alla sua memoria l’ex sala consiliare.

Nel 2010 il regista Mimmo Raffa ha diretto il documentario “Mille storie una donna: Giuditta Levato”.

Nel 2019 lo Spi Cgil e LiberEtà edizioni ha pubblicato il libro “Terre e libertà. Storie di sindacalisti uccisi dalle mafie”, che racconta anche della storia di Giuditta. Sempre lo Spi Cgil di Brindisi in occasione del 21 marzo 2021 ha realizzato un bellissimo video a lei dedicato, "Il frutto" nato da un’idea di Ada Acquaviva, attivista dello Spi di Brindisi, scritto da Luigi De Falco e interpretato dalla stessa Acquaviva

Nel 2018 la casa editrice Rubettino ha pubblicato il libro “L’Ape furibonda” che racconta le storie di ribellione di undici donne calabresi, tra cui la militante di Calabricata. Da questo libro, la cantautrice calabrese Francesca Prestia, ha composto la ballata “Bella Giuditta”.

E' alla seconda edizione il libro di Lina Furfaro "Giuditta Levato. La contadina di Calabricata" edito da Falco editore.