Don Ciccio Guadalupi, il re del latte fresco
di Tea Sisto
Sorridente, tra gli uomini delle forze dell’ordine in borghese. Elegante e formale, in giacca e cravatta, eppure in sella al suo Ciao. Un mezzo anticonvenzionale in un’occasione importante, quella della visita a Brindisi dell’ambasciatore del Sud Africa. Fine settembre 1986. Siamo in corso Garibaldi, in pieno centro, sotto la prestigiosa sede dell’Associazione degli industriali di Brindisi e questo scatto, quasi spensierato, è ultima immagine pubblica del suo presidente, Francesco Guadalupi, per tutti don Ciccio. Poche settimane dopo don Ciccio, il Presidente, don Ciccio, il “re del latte fresco”, don Ciccio, l’uomo retto e l’orgoglio della sua città, fu ferito mortalmente in un agguato. Morì il 30 novembre di quello stesso anno, dopo 49 giorni di agonia nei quali più passava il tempo, più la città perdeva la speranza di un miracolo. Lasciò una città orfana e attonita e due figli, poco più che adolescenti, distrutti dal dolore, Maria Pia e Fortunato. Aveva 61 anni. Sono trascorsi 33 e il dolore resta immutato.
L’11 ottobre del 1986 era un sabato. Don Ciccio Guadalupi, che dedicava tutto il suo tempo libero, all’azienda di famiglia che riforniva di latte fresco tutte le famiglie di Brindisi e provincia con il marchio Latte Villanova, era negli uffici dello stabilimento, immerso nel verde del quartiere Casale, in via Venezia. Era andato lì subito dopo pranzo per controllare, nel suo piccolo ufficio, la contabilità del fine settimana. Era solo ed era così assorto da non sentire che qualcuno era entrato. Si era trovato davanti due ragazzi, uno alto circa un metro e sessanta, l‘altro poco più. Indossavano caschi da motociclista di cui uno coloratissimo. Capì che era una rapina. No, che non se l‘aspettava. Reagì e i banditi spararono con il fucile, lo ferirono e fuggirono via. Qualcuno, allertato da quello sparo nel silenzio di un pomeriggio d’autunno, chiamò le forze dell’ordine e l’ambulanza. Settimane dopo, la tragedia. Ci sono voluti molti anni per risalire ai killer. Uno di quei due ragazzotti era il killer dei killer, Vito Di Emidio, detto Bullone, all’epoca appena diciannovenne e al suo esordio nella carriera criminale. Fu lui, nel 2011, ormai collaboratore di giustizia, a dire durante il processo: “Non ricordo con precisione quante persone ho ammazzato. Forse 20 o di più. Non posso ricordarle tutte”. Ma di certo si ricordava dell’omicidio di esordio: quello di don Ciccio Guadalupi. In seguito Bullone entrò a pieno titolo nella Sacra Corona Unita. Era un serial killer sia come mandante, che come esecutore materiale di una serie infinita di omicidi. Quel giorno di ottobre del 1986 qualcuno aveva detto a lui e al suo complice che don Ciccio il sabato pomeriggio sarebbe rimasto solo nell’azienda vuota accanto a una cassaforte piena di soldi. Quale preda più vulnerabile e facile? I due rubarono una moto e si presentarono. Nessun ostacolo. Di fronte alla reazione di don Ciccio, non si resero conto che l’imprenditore aveva lanciato per terra un borsello con i soldi dell’incasso. Scapparono dopo aver sparato. Francesco Guadalupi è vittima innocente di mafia. Il suo nome è stato letto per la prima volta il 21 marzo scorso da tutti i palchi d’Italia, tra altri mille di vittime innocenti, al termine delle manifestazioni di Libera contro le mafie nella Giornata della memoria e dell’impegno. Dal 1993 il latte Guadalupi non esiste più, incorporato da una multinazionale. Li dove sorgeva lo stabilimento, ci sono palazzine residenziali e, soprattutto, la Caserma dei carabinieri del quartiere Casale.